E’ possibile cambiare? 2

di Beppe Guzzeloni

E’ spaventoso, ma al contempo affascinante, questo nostro mondo senza di noi. Gli animali si riappropriano dei loro spazi, le acque dei fiumi sono più pulite, lo smog sparisce dai cieli delle grandi città, le montagne abbracciano orizzonti lontani, il silenzio ode la propria voce e la natura respira grazie al ritorno della solitudine. E noi, seppur impauriti, cogliamo che c’è qualcosa di bello in tutto ciò. E vorremmo che continuasse. Dall’angoscia del rischio del contagio e dal timore di perdere la nostra libertà individuale e collettiva, è subentrata l’angoscia di perdere il mondo con le nostre abitudini e la possibilità di vivere insieme come prima. E quindi lo spaesamento dovuto alla difficoltà di rappresentarci come saremo e come vivremo.

Come scrive Padre Luciano Manicardi Priore della Comunità di Bose nel suo libro “Fragilità”, anche il crollo di un impero, come la fine di una relazione coniugale o il fallimento di una grande azienda possono apparire improvvisi, ma in verità sono preparati da una storia, più o meno lunga. Dove c’è imperfezione, c’è qualcosa che accade, un evento, un processo, un mutamento, una relazione. Anche quanto stiamo vivendo in questi mesi di emergenza epidemica che stravolge le nostre storie mettendo a dura prova la nostra economia, le nostre relazioni sociali, il nostro stile di vita, fors’anche il nostro stesso senso del vivere, è uno svelarsi di verità altrimenti nascoste, il “totalmente altro “. Il Covid 19 è figlio delle nostre aggressioni all’ambiente, della riduzione degli spazi biologici che inducono ogni forma vivente a sopravvivere dove e come può. L’uomo ha devastato il Giardino Terrestre mettendo le premesse per l’incontro con il perturbante: ciò che sembrava conosciuto e familiare si snatura, e ciò che conoscevamo, ciò a cui eravamo abituati, si svela in una nuova prospettiva. Che ci obbliga a fermarci, a riflettere, a ripensare su come ripartire. Il perturbante offre l’opportunità di cogliere una visione eterotopica (M. Foucault) del nostro mondo. Ciò che è stato, in gran parte non dovrà più essere.  L’esperienza della pandemia ci dice già che non torneremo alle condizioni di prima, non sarà un riprendere lo stile di vita precedente, ma sarà l’avvio di una sofferta trasformazione individuale e collettiva, personale e globale. Il Covid 19 è l’occasione di prendere coscienza di essere stati catapultati in uno spazio “altro”, in un “non luogo” diversi da quelli da noi conosciuti. La tragicità dell’emergenza endemica che ci attraversa diventi fonte di energie e visioni nuove. Sia un attraversamento del deserto, sia spoliazione di egoismi e individualismi, dove la libertà diventi costruzione di una convivenza solidale tra uomo e natura.

Mi manca moltissimo la montagna e la sua frequentazione, soprattutto attraverso l’alpinismo. Ho nostalgia della quota, dell’ambiente glaciale, dei pilastri di granito e degli spigoli dolomitici; così come sento il profondo bisogno di spazi aperti, di camminare su sentieri e cavalcare creste. Vorrei tanto che l’ambiente alpino rinasca con altre logiche economiche e culturali perché diventi realmente strumento per una vita migliore i cui valori si basino sulla coscienza civile, solidarietà, senso del bello, e che questi valori vadano trasmessi e conservati per le generazioni future. Credo che tutte queste cose siano racchiuse nel cuore della montagna e delle sue genti, che tutti quelli che la frequentano dovrebbero avvicinarsi ad essa con la voglia di rispettarla e che non si comportino da conquistatori e predatori, sconvolgendo habitat, tradizioni e storie di vita alpina.

Comprensibilmente l’attenzione, oggi, degli amanti della montagna, di noi istruttori, si concentra sul come e quando riprendere a effettuare salite, calpestare sentieri, legarsi in cordata, arrampicare e sentire “il proprio respiro” libero da costrizioni. Emerge il problema della frequentazione dei rifugi, del trasporto, del distanziamento sociale che tale emergenza ci ha imposto, dell’uso o meno delle mascherine, del programmare gite in piccoli gruppi, di come affrontare una sosta o effettuare una corda doppia cercando di rispettare le indicazioni per evitare possibili contagi.  Usare o meno del disinfettante dopo ogni manovra; fare attenzione a dove metto le mani; a sanificare attrezzatura e materiali vari dopo l’utilizzo…. Certo, questo è un vero problema che si deve affrontare e a cui cercare di dare risposte. E ciò influenzerà in modo considerevole il nostro modo di andare in montagna e il nostro modo di essere istruttori. Tutto questo concerne un cambiamento di mentalità, aumentando e affinando la nostra preparazione sia tecnica che culturale, consolidando il nostro senso di responsabilità. Ma il salto di qualità consiste nell’essere consapevoli che le Scuole di Alpinismo svolgono un’attività di rilevanza sociale, di indirizzo, di ricerca e di proposta culturale che abbia a cuore la frequentazione della montagna. Le Scuole di Alpinismo assumono su di sé una valenza educativa. Educare nel tempo delle problematicità non significa aumentare il senso di sicurezza, bensì far emergere a livello cosciente le resistenze che si oppongono al cambiare direzione nei confronti della montagna e di come viverla alla luce della sostenibilità e della sua salvaguardia; a decidere se veramente si vuole affrontare il difficile compito di incamminarci su sentieri nuovi che l’esperienza dell’emergenza sanitaria ci sta obbligando a percorrere.