Ciao Gabriele

Il nostro amico Gabriele Bianchi, il nostro past president , il nostro sostenitore, la nostra costola, il nostro cuore, ci ha lasciato oggi pomeriggio, a 70 anni, legati stretti per non lasciarseli scappare. Imbragato alla vita. Se ne è andato senza più fiato, tradito da una malattia impietosa, giunta sul suo corpo come un colpo di vento improvviso, mentre con piede fermo saliva la cresta verso la cima del suo destino.
Se ne è andato lottando, non “sazio di anni” come dice la Bibbia, con accanto sua moglie Ileana e gli amici più fedeli. Non “sazio di anni” Gabriele lascia dietro di sé pezzi caldi di vita non vissuta, rimpianti, nostalgie. La morte è sempre spreco.
Di lui mi ricordo la disponibilità, la sua fedeltà, il suo costantemente “esserci” anche nell’assenza.
50 anni di vita piena di Gabriele sono gli anni con cui il Club Alpino Italiano si è nutrito del suo fiato, della sua esistenza, della sua visione.
In questa assemblea dolorante di amici, di solitudini, di volti, di esistenze, di lacrime sommesse e di tristezza, il suo nome diviene momento unificante e il ricordo di lui si trasfigura e diventa di nuovo incontro. Un incontro, una memoria, forse una nostalgia, di certo un vento che asciuga la fronte, una mano che senti posata sulla spalla, un sospiro di sollievo, un sorriso dimenticato.
Nulla di quanto noi fortemente sognassimo, nulla di quanto noi testardamente sperassimo. E piangiamo straziati, mutilati, tentando, su tibie traballanti, di fuggire da questo nostro dolore. Invano e non ora.
Per i suoi cari, per i soci del CAI, per noi di Alpiteam, nomi incarnati, significato della sua esistenza, vino della sua vigna, grano del suo campo, manufatto del suo desiderio, non ha chiesto la grazia della rassegnazione, ma la cocciutaggine di vivere e di difendere la vita e la montagna.
L’amico Gabriele è morto oggi pomeriggio. Piangiamo, ma il nostro cuore sia in pace, perché oggi ci ha dato la vita, il senso inafferrabile della vita e il non temere l’univocità della morte come uno spegnersi di stelle. Ci aspetta un arduo cammino; i nostri passi ora sono titubanti, come di orfani, come marinai nella nebbia, come alpinisti in cerca dell’appiglio. Sentiamo il peso dell’eredità, una eredità non di sangue, non un consolidamento di una entità solida: ciò che ereditiamo è una testimonianza. Proprio ora che ne sentiamo la mancanza.
E là, dove lo sguardo intuisce una luce e l’orecchio ode una voce, sorgono le improvvise folate della vita che Gabriele avrebbe voluto ancora vivere spendendosi per i suoi cari e per il nostro Sodalizio.