Proseguono i contributi per una Pedagogia della Montagna. Un altro interessante articolo di Beppe Guzzeloni (Istruttore regionale di alpinismo).
“Se uomo e montagna s’incontrano, grandi cose possono accadere” così scrive nei suoi diari il poeta inglese William Blake (1757-1827)
Non so perché,
leggendo questa frase, mi è subito venuto in mente la favola “Il Piccolo
Principe” dello scrittore francese Saint-Exupery. Un testo poetico che, per un
gran numero di persone, è divenuto il racconto chiave della loro vita.
Anche per me. Questo
libro, nella mia adolescenza, è stato il rifugio nelle ore di solitudine,
conforto nei momenti di delusione. Un compagno indispensabile per riprendere
fiducia e rinnovare il cammino della speranza.
Ma soprattutto “Il
Piccolo Principe” è stato un forte messaggio educativo in grado di ricostituire
la fiducia nella fedeltà incondizionata dell’amore; promette e impersona un
mondo dell’impegno e della responsabilità reciproca ed evidenzia un legame
d’amore, un alto canto di amicizia, semplicità e bellezza.
Perché stupirsi se
“Il Piccolo Principe” ha finito per diventare la figura di un’umanità ideale?
Il suo sguardo
retrospettivo nel regno dell’innocenza infantile e, soprattutto, il suo sguardo
rivolto alle stelle, che nelle notti insonni, ci parlano di un invisibile
pianeta di una straordinaria rosa e del suo mistero, ci ridona la profondità
del sognare e l’ampiezza del cuore che credevamo ormai perduti.
E possibile sperare.
A patto che vi sia attenzione per la rosa,
che si abbia cura di lei, che la si protegga, che si faccia il possibile per lei.
Con scelte consapevoli, con costanza e con la passione per il futuro da
costruire.
Mi viene ora
spontaneo e naturale portare il discorso sulla montagna, sull’ambiente alpino e
della sua frequentazione sostenibile; del suo rispetto e della sua tutela. E qui
ancora riporto una frase di Saint Exupery: ” la montagna è uno specchio, una
provocazione del sublime; essa esalta ciò che ciascuno porta in sé di più
ardente…”.
Come scrive
F.Tomatis nel suo bellissimo libro “ La via della montagna”, la rivoluzione montana
può accadere, spontaneamente, nella misura in cui la visione diventa verticale.
Orizzonte e monte, verticalità e cammino, ascesi e ritorno, ascensione e
ridiscesa nel mondo sono naturali complementarietà della rivoluzione montana.
Una rivoluzione che esige un cammino, una salita trasformativi tra natura e
cultura.
L’ambiente alpino è
un bene comune. E lo è nel momento in cui ne viene riconosciuto il valore da
parte di chi si interroga e decide su come partecipare alla sua conservazione e
alla sua trasformazione. “Spazio di vita” così intende la Convenzione Europea.
Un ambiente non solo
da guardare, attraversare, godere mediante attività escursionistiche o alpinistiche,
intese anche come opportunità per raggiungere condizioni di benessere fisico e psichico.
Sicuramente non un luogo da consumare e sfruttare.
Quello che è
importante non è tanto la conquista della vetta, seppur ha il suo valore, ma è
il tu per tu con la roccia, con la neve, con il ghiaccio che è insostituibile:
toccare, vedere, gli odori, i colori. E’ un’esperienza indimenticabile, è come
una danza, la danza dell’appartenenza dell’ambiente che vivo. La vita di
montagna, con il suo isolamento, con la presenza continua di pericoli,
incoraggia lo sviluppo di due tendenze opposte della personalità umana: da un
lato rafforza l’individualismo, dall’altra il bisogno di collaborare con il
gruppo e di essere comunità.
L’ambiente alpino
non è quindi un passivo diritto di fruizione, ma richiede l’esercizio della
responsabilità individuale e collettiva finalizzato alla sua salvaguardia.
La cura del paesaggio e il diritto delle
persone a beneficiarne, sono strettamente interdipendenti e richiedono azioni
di solidarietà civile e di partecipazione responsabile.
Si tratta, quindi,
di avere la possibilità di prendersi cura di sé con la consapevolezza che la
tutela della montagna (ambiente, cultura, paesaggio, territori, tradizioni)
sono la conditio sine qua non per salvaguardare anche il mio e altrui
benessere.
L’ecologia umana è
inseparabile dalla nozione di bene comune; un principio che svolge un ruolo
importante nell’etica sociale. Il bene comune presuppone il rispetto della
persona umana in quanto tale e la cura per la natura attraverso un cambiamento
degli stili di vita che implicano la capacità di vivere insieme e in comunione
con il creato. Il bene comune presuppone una cultura della cura, come ricorda Papa Francesco nell’enciclica
“Laudato Si”.
Per pedagogia della
montagna, quindi, intendo la costruzione intenzionale di un dispositivo
emotivo, formativo ed educativo che ha come obiettivo la cura di sé e che
investe la vita interiore del soggetto promuovendone la crescita personale. Pedagogia della montagna come conversione
alla cultura della cura.
Esso è il risultato
di un processo che si svolge, cresce e matura nel contesto alpino come luogo in
cui natura e cultura, persona e paesaggio, territori e tradizioni convivono
nella ricerca del proprio equilibrio.
E’ nel rapporto,
nella relazione, nell’apertura consapevole e responsabile tra soggetto e
ambiente alpino che possono crearsi le opportunità di recupero di potenzialità
e risorse personali e di salvaguardia della montagna.
Il camminare,
l’alpinismo, l’arrampicare devono diventare azioni consapevoli di conoscenza di
sé e dell’ambiente in cui si svolgono tali attività. La conoscenza di sé
(limiti, scoperta di emozioni, espressione del corpo, scoperta di possibilità
proprie…), l’apprendimento di una tecnica, l’esperienza della frequentazione della
montagna diventano luoghi di cura nella misura in cui “ mi occupo” anche di
tutelare e salvaguardare lo spazio che mi offre l’opportunità di cambiamento
sia dal punto di vista della salute che di crescita umana e sociale.
La valenza
pedagogica nel promuovere una relazione responsabile tra soggetto e ambiente
alpino, offre la possibilità di incrementare la partecipazione alla vita
sociale e ad una maggior consapevolezza che “la patologia” non annulla il poter
esprimere la propria “cittadinanza”.
Come suggerisce
Salvatore Settis in un suo scritto, occorre pensare il paesaggio e l’ambiente
alpino come “teatro della democrazia”, luogo di diritti e di doveri.
La pedagogia della
montagna è la manifestazione di come si può intendere, ritornando al Piccolo Principe,
“l’attenzione alla rosa” e di come apprendere il mistero dell’amicizia e della
cura dell’Altro ( persona, ambiente, relazione…).
Il prendersi cura consiste in un paziente,
lento, progressivo processo di ‘conoscenza’. Conoscere per fare e per essere;
conoscere per andare e andare sicuri; un conoscere per capire, per amare e
tutelare il luogo che mi accoglie. La montagna include chi la rispetta, chi la
difende e protegge. La montagna, nella sua severità e asprezza, è accogliente.
Solo così cresce il desiderio di conoscere e
sentire sempre di più, di proseguire oltre e di capire più profondamente il
mistero dell’Altro (montagna).
La pedagogia della
montagna è il passaggio “obbligato” che deve essere affrontato per fare in modo
che le scelte e le azioni finalizzate alla cura di sé attraverso la
frequentazione della montagna si intreccino, dialoghino, abbraccino la montagna
stessa attraverso la consapevolezza, i comportamenti, le prese di posizione,
anche pubbliche, per il suo rispetto, la sua tutela e salvaguardia.
“Le montagne sono
una sorta di miracolo: suscitano i sentimenti più disparati, riempiono di idee,
spingono ad imprese, incuriosiscono, incutono paure, dissetano necessità.”
Scrive il giornalista Enrico Martinet.
La pedagogia della
montagna è una proposta, una sollecitazione: un invito a viverla. Ma non come
senso di sfida agli elementi, di una volontà di dominio, di potenza o di
bisogno di consumo; ma solo di corrispondenza, di confronto, di dialogo, di
rispetto.
La pedagogia della
montagna è un approccio delicato e dedicato alla conoscenza dell’ambiente
alpino. Imparare un territorio è viverlo e la sua memoria è il frutto
dell’esperienza.
Pedagogia della
montagna non è solo la sfida che consiste nell’affrontare il mondo delle terre
alte, ma sta nel riconoscerlo. Pareti, cime, ghiacciai, nevai, fiori, piante,
pascoli, alpeggi, sentieri e accenni di sentieri. E’ l’esperienza da vivere per
“sentirsi parte” di ciò che osservo, tocco, su cui cammino, arrampico. E
l’esperienza di ritrovare i propri sensi: il vento freddo di masse glaciali,
l’irradiazione dei massi, l’odore forte di erbe, l’udire il silenzio che
pervade i boschi, porre attenzione a dove metto i piedi, a prestare interesse
per quell’alpeggio, quella baita, quel muretto a secco.
La pedagogia della
montagna è inventare la propria montagna. Essa non esiste se non le dò un
senso, se non me ne occupo, se non me ne prendo cura. Il mio benessere è la sua
conservazione. Ed è la sua salvaguardia che mi offre opportunità di vivere
momenti di vigore e salute.
Ora, questa
esperienza dovrebbe essere la manifestazione di un’ulteriore presa di coscienza,
di una diversa visione, di nuove scelte e coerenze: bisogna allargare lo
sguardo e creare un nuovo linguaggio.
“Se uomo e montagna s’incontrano, grandi cose possono
accadere”. Credo che sia il momento di dover andare in direzione contraria
all’appiattimento sull’esistente, sul “buon senso e dell’ovvietà” sfidando la
gravità del qualunquismo con lo sguardo rivolto ad un futuro sostenibile per le
Terre alte e avendo un sogno, una domanda.
La
pedagogia della montagna è lo sforzo, il perenne tentativo di creare un ponte
tra sé e la società, per una pacifica esistenza delle persone, in un armonioso
rapporto con l’ambiente e la natura alpina, innanzitutto coi propri simili, con
ogni creatura, attraverso un costante equilibrio fra visibile ed invisibile,
esperienza concreta e mistero.
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